Quale futuro per il miele italiano?
Intervista a Giancarlo Naldi, direttore dell’Osservatorio Nazionale del Miele
Il 2023 è stato, per il settore apistico, un anno complesso. Una primavera particolarmente fredda e piovosa ha avuto come risultato un calo considerevole della produzione, in particolare per alcune tipologie di miele, come quello di acacia e quello di agrumi. Questo ci porta a farci alcune domande che riguardano gli alveari in Italia – un milione e 700 mila di cui l’80% appartengono ad apicoltori professionali – e sul futuro della produzione di miele. Abbiamo scelto di approfondire queste tematiche avvalendoci delle conoscenze e dell’esperienza di Giancarlo Naldi, direttore dell’Osservatorio Nazionale del Miele in Italia, da lui fondato nel 1988 in collaborazione con le organizzazioni apistiche nazionali a Castel San Pietro Terme, in provincia di Bologna.
Come è nato il suo interesse per il mondo del miele?
Quasi per caso, quando ero amministratore del mio Comune, quello di Castel San Pietro Terme. Un piccolo paese che ha le radici nel mondo dell’apicoltura, in particolare grazie al suo legame con Giulio Piana, apicoltore insigne che perfezionò l’arnia moderna. Nel secondo dopoguerra Piana non solo innovò il settore, ma ebbe grandi intuizioni come il nomadismo e l’allevamento delle api regine in zone incontaminate. A Piana è dedicato anche un concorso che si fa da 43 anni e che ogni anno esamina oltre 1200 mieli da ogni parte d’Italia. Per queste ragioni, nel tempo, Castel San Pietro è diventata una meta obbligata per gli apicoltori e dentro di me è nata la passione per il mondo del miele.
Passione che si è concretizzata nella fondazione dell’Osservatorio Nazionale Miele.
L’obiettivo dell’Osservatorio è quello di far crescere e tutelare il settore attraverso azioni precise e mirate. Ci occupiamo di controllare e migliorare la qualità dei mieli e, allo stesso tempo, di monitorare il mercato con la collaborazione di venticinque rilevatori professionali in tutta Italia. Tuteliamo i mieli con progetti specifici, svolgendo inchieste e azioni di tutela e promozione della qualità. Infine, favoriamo la compatibilità tra agricoltura e apicoltura per fare in modo che le difese fitosanitarie siano compatibili con la salute dell’uomo e delle specie animali; in questa direzione abbiamo raggiunto un’intesa nazionale fra agricoltori, apicoltori e altri addetti ai lavori per proteggere le api e promuovere pratiche virtuose. L’Osservatorio coordina il tavolo tecnico dell’Intesa che si riunisce presso il Ministero delle politiche agricole
Arriviamo al presente: il freddo anomalo della scorsa primavera ha messo in difficoltà il miele italiano. Quanto è grave la situazione?
La primavera 2023 è stata veramente durissima per una combinazione di diversi fattori, come le temperature basse e, soprattutto, la piovosità di maggio che ha registrato 21 giorni di pioggia su 30. Con le basse temperature è stato praticamente impossibile uscire, per le api; e le piogge hanno abbattuto le fioriture di acacia, al nord e al centro, e quelle di agrumi al sud. In termini economici sono stati persi oltre 90 milioni di euro in valore di produzione. A questo dato si è aggiunta anche una perdita della capacità produttiva delle api; nonostante gli apicoltori siano intervenuti nutrendo le api, a causa di una situazione che si è protratta nel tempo, le famiglie di api hanno perso la loro capacità produttiva. Solo la prima parte dell’estate, prima della siccità, ha permesso di recuperare in parte la situazione. Queste difficoltà hanno aumentato i costi di produzione per via delle spese per il nutrimento e quelle per il nomadismo.
È un episodio isolato quello di quest’anno o un trend già iniziato da tempo?
Purtroppo non è un episodio isolato, le annate difficili si vedono troppo spesso e rischiano di non mantenere il danno subito nell’ambito del rischio di impresa.
Dal punto di vista climatico quali sono i principali nemici della produzione di miele?
Tre più di tutti: la temperatura, le precipitazioni e il vento. Dobbiamo pensare che una fioritura dura dieci o quindici giorni al massimo. Delle temperature e delle piogge abbiamo già parlato. Se in presenza di una determinata fioritura c’è vento forte, si hanno gli effetti dei primi due fattori messi insieme: le api non escono e i fiori si danneggiano.
Quali sono le regioni italiane in maggiore difficoltà?
Normalmente le regioni vengono colpite in modo alternato. Nel 2023 il danno invece è stato distribuito in egual misura da nord a sud. La ripresa estiva è stata invece diversificata da zona a zona: molto è dipeso da come l’apicoltore ha trattato le famiglie di api, se le ha alimentate bene, se ha fatto bene il nomadismo c’è stata più ripresa.
Quali tipologie di miele hanno subito maggiormente il freddo?
Acacia al nord e al centro, agrumi al sud, millefiori primaverili in generale.
È un problema solo italiano o esteso nel resto del mondo?
Il fenomeno del cambiamento climatico e delle sue conseguenze è globale, ma l’Italia lo subisce con maggiore impatto. Abbiamo un territorio molto esteso e siamo in una zona dove il cambiamento climatico incide molto, c’è molta estremizzazione degli eventi.
Sono state adottate delle misure di tutela per i produttori?
Come Osservatorio siamo impegnati a fare informazione, pubblicando report con i dettagli della situazione. Nel contempo qualche Regione ha adottato il regime di calamità naturale, quello che si adotta per le produzioni vegetali. Ma per l’apicoltura questo protocollo è meno efficiente, servirebbe un sistema di tutela specifico. Se non si interviene rischiamo di perdere le aziende.
C’è il rischio che le api scompaiano?
È importante partire da una considerazione: le api selvatiche praticamente non esistono più. Le api ci sono perché ci sono gli apicoltori che le allevano. Quindi non c’è il rischio che le api scompaiano finché ci sono gli apicoltori. Il problema è proprio questo: il giorno in cui l’azienda apistica non farà più reddito, rischiamo di perdere le api.
Perché il ruolo delle api è così importante?
Un alveare in produzione contiene 50mila api che si distribuiscono nel raggio di 3 km: immaginate la capacità di impollinazione di un alveare. E se gli alveari sono più di uno, diventano importantissimi. Le api passano a tappeto il territorio e garantiscono l’impollinazione di tutte le piante entomofile, sia coltivate che spontanee.
Quanto miele si consuma in Italia?
Siamo intorno alle 50mila tonnellate. Ma quello che è importante è che negli anni in cui la produzione è normale, noi copriamo il 50 %del fabbisogno nazionale. Il numero evidenzia una capacità teorica di mercato enorme, ma purtroppo nella realtà ci sono paesi che riescono a produrre miele di bassissima qualità che arriva in Italia a due euro al kg, e per noi è impossibile competere.
Quali sono i mieli più richiesti?
Acacia, sicuramente, facile da utilizzare come dolcificante. C’è una preferenza assoluta nei confronti di questo miele e per questo spunta prezzi più alti.
C’è curiosità nei confronti di altre tipologie?
Noi siamo impegnati a coltivare l’idea – già consolidata nel settore dei formaggi, dei vini, degli oli – che la scelta del miele dipende dal gusto soggettivo oltre che dalla stagione o dal cibo a cui lo abbiniamo. Bisogna trasmettere al consumatore il suo valore alimentare. A noi piace legarlo ad un’idea di alta cucina, in questo senso collaboriamo spesso con Igles Corelli, Direttore scientifico dell’Accademia del Gambero Rosso.
A proposito di miele di qualità, in Italia, quante sono le aziende certificate biologiche e biodinamiche?
Gli apicoltori biologici e biodinamici sono quantificati in circa il 12% del patrimonio apistico nazionale. La più grossa cooperativa, Conapi, conta 290 imprenditori apistici con 100mila alveari: di questi il 50% sono bio certificati.
Come possiamo riconoscere un miele di qualità dall’etichetta?
Leggere l’etichetta è fondamentale, c’è scritto tutto. Innanzitutto bisogna diffidare delle miscele. In Italia, fortunatamente abbiamo una normativa molto rigida e stiamo forzando affinché l’Europa adotti la nostra. Purtroppo però negli scaffali si trova tantissima miscela. Un altro aspetto che ci deve mettere in allarme è quando leggiamo che il miele è fatto in Cina; inoltre è meglio evitare i mieli con le diciture comunitario e extracomunitario.
Qual è la soglia di allarme quando troviamo prezzi troppo bassi?
L’acacia deve costare più degli altri. Dobbiamo diffidare quando un vasetto di miele di acacia da 500 grammi costa meno di 6 euro.
Per fare divulgazione sul mondo del miele, come Osservatorio, avete ideato iniziative per i consumatori?
Abbiamo creato l’App “Tre gocce d’oro” che permette di fare una ricerca geografica dei produttori italiani e delle loro particolarità; abbiamo anche pubblicato un libro per diffondere l’utilizzo del miele nell’alta cucina. Si chiama “Miele tra le stelle” e contiene le ricette di ventuno chef stellati in Italia con un miele specifico della loro zona.
Che futuro vede per il miele italiano?
Il futuro è possibile solo ad alcune condizioni. Che si attivino normative europee per evidenziare la qualità del miele nell’etichetta, che ci siano controlli rigorosi e che si costituisca un sistema di qualità nazionale che preveda parametri di qualità oggettivi, più restrittivi e che evidenzino le territorialità. In Italia abbiamo il timo, il coriandolo, il corbezzolo e oltre 30 monoflora, nessun paese al mondo ha questa ricchezza. L’obiettivo finale sarebbe quello di arrivare ad un sistema nazionale e ad una campagna che catturi l’interesse del consumatore, per tutelare il prezzo del miele e salvaguardare le aziende così importanti per il loro valore ecosistemico.
Claudia Zigliotto